di Alain Guiraudie, Francia, 2024, 102′
con Félix Kysyl, Catherine Frot, Jean-Baptiste Durand, Jacques Develay, David Ayala
Jérémie torna nel piccolo comune di Saint-Martial per il funerale del panettiere, suo ex datore di lavoro, a cui era molto legato. Si
ferma per qualche giorno a casa di Martine, la vedova del defunto, che gli è affezionata. L’affetto di Martine, la violenta gelosia del
figlio Vincent, amico di gioventù di Jérémie, la tensione con il solitario Walter, l’attenzione del parroco del villaggio, Philippe,
fanno emergere un passato misterioso che avrà conseguenze inaspettate...
FilmTv - Guiraudie è uno dei maggiori registi francesi di oggi: il suo cinema è asciutto, surreale, sub-reale, sub-normale, paradossalmente placido nonostante sia pieno di elementi che potrebbero provocare un banale spettacolo. Sta tra Bruno Dumont e i fratelli Larrieu, tra il mitologico e il prosaico, tra l’assurdo e il proverbiale. Cioè in un cinema eccentrico, che si sposta dal centro e dal certo: non urbano per temi e location, e soprattutto interessato a sottrarre lo spettatore all’orientamento automatico, ideologico e morale, che propongono le immagini, le storie, le retoriche a cui siamo abituati. E che chiamiamo, in maniera assolutamente perversa e politicamente rassegnata, “realismo”. (...) Guiraudie apre L’uomo nel bosco, liberamente tratto dalle 1.038 pagine del suo romanzo Rabalaïre, con la figura tipica del coinvolgimento, la soggettiva: un lungo camera-car che porta il pubblico e Jérémie, insieme, l’uno su e dentro l’altro, al paesello. Il cinema, dice Apichatpong Weerasethakul, è un «mezzo di trasporto». Perciò questo coincidere si fa subito imperfetto, slitta, scarta, spinge altrove: a cominciare dalle mancate risposte alle domande poste qui sopra, lo spettatore è accompagnato in un luogo in cui i moventi non sono dati, i desideri non presentano retroscena psicologici comprensibili, le norme sociali si reinventano in maniera libera, non conforme a quelle conosciute. Ai “Cahiers” (che han consacrato il film come il migliore del 2024) Guiraudie dice di voler «rendere possibile l’improbabile». Il che significa, soprattutto, ricontrattare il termine “normale”, e proporre a chi guarda un luogo utopico, in cui poter sperimentare sentimenti e posizionamenti oltre ogni logica e morale. La misericordia, per esempio. C’è più Bresson che Chabrol, qui dentro.
Mymovies - Il film sembra un po' un giallo alla Chabrol e un po' una fiaba nera (non a caso i personaggi si avventurano ripetutamente in un bosco misterioso), ma in realtà è tutto Alain Guiraudie, il regista e sceneggiatore francese che con una decina di titoli (il più memorabile è Lo sconosciuto del lago, ma è notevole anche il recente L'innamorato, l'arabo e la passeggiatrice) ha definito la sua poetica libera e impossibile da incasellare in un genere, o in una narrazione codificabile.
Cineforum.it - I film di Alain Guiraudie prendono sempre vita in un mondo chiuso – nel senso originario della parola latina conclusus, cioè chiuso, delimitato da confini precisi – aperto all’esterno, sia perché violato da una presenza estranea (come succedeva nel precedente L’innamorato, l’arabo e la passeggiatrice, dove la vita di Clermont-Ferrand era sconvolta dall’arrivo di un sospetto terrorista islamico), sia perché teatro di vicende mosse dagli istinti universali dell’essere umano, quelli che valgono a ogni latitudine: il desiderio, il sospetto, la gelosia, anche la solidarietà.